giovedì 19 gennaio 2012

Il carattere Cooperativo della scienza e dell’Open source


Esiste una analogia tra scienza e software Open source? Nel libro “La società aperta e i suoi nemici”, prendendo spunto dal romanzo di Defoe Robinson Crusoe, Popper afferma che anche se Crusoe avesse prodotto in modo scientifico le invenzioni che gli erano servite per sopravvivere durante il suo soggiorno forzato nell’isola ed anche ammesso che le sue invenzioni fossero state effettivamente recepite in seguito dagli scienziati, quella di Crusoe non potrebbe essere considerata una vera scienza. Crusoe si sarebbe potuto al più paragonare ad un indovino capace di pensare a delle scoperte che in futuro altri scienziati avrebbero realizzato a favore di tutta la società. Alla scienza di Crusoe mancherebbe infatti quel carattere pubblico, cioè la libera discussione da parte degli altri scienziati che consente ad altri ricercatori di ripetere le procedure che hanno condotto a certe conclusioni. In mancanza di tale carattere pubblico e cooperazione tra scienziati non esiste scienza, ma solo esperienza privata. Scrive Popper: “L’obiettività scientifica non risulta dagli sforzi che compie un singolo scienziato per essere obiettivo, ma dalla cooperazione di molti scienziati, non è un prodotto dell'imparzialità del singolo scienziato, ma un prodotto del carattere sociale o pubblico del metodo scientifico. L’obiettività della scienza dipende dal riconoscimento pubblico del valore della conoscenza scientifica.”



Per Popper una teoria è scientifica solo se può essere pubblicamente falsificata. Il progresso scientifico, secondo Popper, consiste nel continuo lavoro della comunità scientifica volto a falsificare le teorie scientifiche e a sostituirle con delle teorie migliori.
Nello sviluppo del software Open Source non è difficile individuare uno schema analogo: la scoperta degli errori è resa possibile dalla disponibilità del codice sorgente. Ed è dalla scoperta degli errori che nascono i miglioramenti, proprio come per Popper dalla falsificazione delle teorie nasce il progresso della scienza.
E' in questo punto che Open Source e Scienza trovano diverse analogie. Il software Open Source nasce in un ambiente che viene definito "comunità degli sviluppatori" con un chiaro riferimento alla comunità scientifica. Si tratta di persone che collaborano liberamente senza essere inquadrate in una organizzazione produttiva. Il vantaggio che "gli sviluppatori" traggono dal loro lavoro è solo indirettamente economico. Ciò che conta è l'attribuzione del merito delle loro "scoperte" e, paradossalmente, ciò è possibile solo con una strategia che è l'esatto opposto del metodo del segreto industriale: nessuno può essere considerato lo scopritore di qualcosa se non lo rende pubblico, ed è proprio rendendo al più presto pubblico questo qualcosa che si assicura di non essere preceduto da altri.

Il software vuole essere libero. Questa è la filosofia che Stallman ripete da una ventina di anni!

Innanzitutto, ha spiegato Stallman in una lunga intervista alla Bbc, non bisogna confondere "libero" con "gratis", nonostante il termine "free", in inglese, autorizzi la confusione nella traduzione. "Sono due questioni separate. Il software libero oggi ha un tremendo valore commerciale e si può scegliere di venderlo, ciò fa parte della libertà". Tuttavia l'interpretazione autentica dell'inventore del concetto è chiara: "'Software libero' significa che l'utente è libero di studiare cosa fa quel programma, modificarlo per meglio soddisfare i suoi bisogni, distribuirne copie ad altre persone e pubblicarne poi copie migliorate. E, se non siete programmatori voi stessi, potete dare il compito a qualcun altro di farlo per voi". Di questo si parla quando si parla di "free software": che sia gratis o a pagamento non influisce sulla sua natura.
E da questa definizione molte conseguenze derivano. La personalizzabilità, per esempio. "Ogni volta che un utente ha bisogno di fare delle modifiche affinché il software risponda meglio alle proprie esigenze, le può fare o far fare".

Molto importante è anche l'aspetto formativo, dice Stallman: "Ognuno, nel mondo, che voglia imparare come scrivere del software, ha quest'opportunità, perché per imparare non c'è niente di meglio che leggere e modificare molto software. E' stato anche il modo in cui io stesso ho imparato".
Vale dunque il monito di Stallman: dall'adozione generalizzata del software libero si possono ricavare solo vantaggi e benefici importanti per tutta la società.
“E allora perché non è ancora successo?”, chiede il cronista della Bbc. Perché – risponde Stallman - "quando in una società c'è dell'inerzia, questa tende a sviluppare molta resistenza a ogni cambiamento. E le compagnie che producono software proprietario sono molto brave nel tenere i loro clienti in trappola". Tuttavia: "Alla fine vinceremo noi, rimpiazzeremo il software proprietario che è un sistema anti-sociale che toglie le libertà, divide gli utenti e li lascia in balia delle aziende".

A questo punto, però, va introdotto un chiarimento sulla concezione del diritto d'autore sostenuta da Stallman, e con lui dalle tante associazioni per il software libero che sono nate in tutto il mondo. Stallman cita frequentemente la prima legislazione sul copyright statunitense che fa esplicito riferimento alla costituzione americana. In quel testo viene riconosciuto all'autore il diritto acquisito sulla sua opera, ma ciò non deve collidere con gli interessi della società nel suo insieme. E’ proprio partendo da una «rilettura» di quella legge che ha preso corpo la licenza GPL che per esteso significa General Public Licence, una specie di permesso d'autore all'utilizzo del software prodotto. Il diritto dell'autore è quindi equiparato al diritto dell'utente, a cui viene riconosciuto lo status di possibile autore a patto che non interrompa la catena di libertà di modifica. Non c'è quindi nessun divieto a vendere il software, ma solo l'invito a farlo restare libero, per sempre.

giovedì 12 gennaio 2012

Ho trovato questo articolo, interessante, su Repubblica.

Non scrivo commenti ma sono molto interessato a quello che pensate.

RAFFAELE SIMONE

Due spettri s´aggirano per le scuole italiane: la lavagna interattiva e il tablet. Il primo è un apparecchio del tipo dell´iPad, che si collega in rete e permette di leggere, ascoltare, vedere, scrivere, calcolare più o meno come un computer, con la differenza che pesa solo qualche centinaio di grammi. La lavagna interattiva è un grande display che sembra una lavagna: ci si scrive con una penna speciale o col dito e quel che si scrive si può salvare, modificare, spedire… Da un po´ di tempo qualcuno ha stabilito che sono il futuro della scuola: nessuno sa di preciso chi abbia preso questa decisione ma sta di fatto che, appena un ministro s´installa, dichiara che i due gadget sono indispensabili. Il ministro Profumo non fa eccezione: quando, appena arrivato, ha scoperto (dati Istat 2009) che a scuola (non a casa) i ragazzi che usano il computer sono solo il 4%, ha annunciato che, per rendere la scuola italiana più "moderna e visionaria", punta sulla diffusione di lavagna interattiva e tablet.
Quanto alla lavagna interattiva, basta vederla in funzione per capire che è un gadget inutile e fragilissimo. Il suo lavoro non è molto diverso da quello di una lavagna normale, quasi solo con la differenza che si può registrare quel che si è scritto. Il tablet è più insidioso: date le sue maggiori possibilità di uso (contiene libri elettronici e può operare come blocco per appunti, terminale telematico, strumento di precisione e altro), ha un appeal a cui è difficile resistere. Inoltre, siccome è "connesso", spinge facilmente a credere che apra finestre su un mondo illimitato.
Ma è davvero così? A parte l´entità dell´investimento necessario per realizzare il proposito del ministro, il dibattito internazionale su questi temi è molto vivo. Più di un analista dubita della reale utilità di queste risorse nella scuola: a Clifford Stoll (autore qualche anno fa del durissimo saggio Confessioni di un eretico highà-tech; Garzanti) s´è affiancato quest´anno Nicholas Carr con un libro (in Italia da Raffaello Cortina) dal titolo eloquente: Internet rende stupidi? (La sua ovvia risposta è: "Sì, e non poco".) Altri argomenti ho portato io stesso in La Terza Fase.
In ritardo su tutti gli aspetti della modernità, la nostra scuola ha sempre mostrato la più candida accoglienza verso mode (tutte, inutile dirlo, di origine statunitense) che si sono esaurite in un batter d´occhi. A ricordarne alcune si entra nella più plumbea archeologia culturale. Negli anni Settanta subimmo l´inondazione del mito del test e della misurazione "oggettiva" delle prestazioni dei ragazzi; poi fu la volta degli "obiettivi didattici", mediocre dottrina che costrinse per anni gli insegnanti a indicare ossessivamente gli "obiettivi" (scelti entro liste prestabilite) a cui la loro attività doveva puntare; infine la folle sbronza di "istruzione programmata": in attesa dei computer (allora rarissimi) si progettavano noiosi fascicoli che ne scimmiottavano la logica. Ognuna di quelle ondate generò corsi di aggiornamento, investimenti e carta straccia, senza dire del subbuglio che produsse nei professionisti e le famiglie. L´apertura senza riserve a tablet e lavagne interattive (qualcuno studia anche le applicazioni educative del telefonino…) corre il rischio di essere un nuovo capitolo di questa storia di sudditanza.
La cultura digitale è di certo un fenomeno più importante delle mode precedenti. Ma, se non ci si può opporre alle innovazioni epocali, non è inevitabile accettarle senza sapere che cosa si sta facendo. Anche qui tra l´altro la nostra scuola arriva in ritardo: mancata (negli anni Ottanta) la fase iniziale dei pc, ignorato (negli anni Novanta) l´avvento della rete, ora cerca di acchiappare la pantera per la coda introducendo tablet a tappeto. Ma prima di fare una mossa simile è cruciale domandarsi che cosa comporta l´introduzione massiccia della cultura digitale nella scuola. Risorsa formidabile in alcuni impieghi ma pericolosa in altri, è una potenzialità ambivalente che richiede in ogni caso un governo e una gestione fermi e consapevoli. Basta menzionare un rischio tipico: la cultura digitale è uno dei più temibili moventi di interruzione della concentrazione che si siano mai presentati nella storia, e si sa quanto la concentrazione sia cruciale nell´apprendimento.
L´entusiasmo di un ministro o di qualche dirigente scolastico (che trova magari esaltante il fatto che i tablet liberino i ragazzi del pesante zaino) è una motivazione ancora troppo tenue per giustificare una tardiva e radicale digitalizzazione della scuola.

mercoledì 4 gennaio 2012

difficoltà

Ciao a tutti,
devo preparare un incontro utilizzando la piattaforma wiziq.com, durante l'incontro dovrei far vedere un programma che eseguirò dal mio computer. Per fare questo vorrei utilizzare l'opzione Screen sharing che è presente in wiziq.
Questa opzione è attiva nei MAC ma invece in Windows no. Ho cercato in tutti i modi di farla funzionare seguendo le istruzioni e i vari interventi dei blog tra cui cui l'indicazione di aprire la porta 1935 ma niente.
Ho cambiato computer usando windows 7 , windows xp e windows 2000 professional anche in reti diverse ma niente.
Ora non so più che cosa fare, c'è qualcuno che ha già avuto un problema simile?

Grazie per qualsiasi suggerimento!

sabato 24 dicembre 2011

Perché educare alla cooperazione ( a distanza)?

Il Bambino Autore: Comunicare e Cooperare a distanza

Rita Levi Montalcini nel suo libro “I nuovi magellani nell’er@ digitale” utilizza la metafora del viaggio effettuato per scoprire nuove rotte oceaniche e terre ancora sconosciute in cui ci si doveva misurare soprattutto con il tempo e lo spazio per definire la nuova generazione di adolescenti i nuovi magellani. A differenza dei loro predecessori i nuovi viaggiatori sono liberati dai vincoli dello spazio e del tempo potendo “navigare” in uno spazio sconfinato percorribile praticamente in tempo reale.

Questa generazione, che è formata dai ragazzi che frequentano la scuola primaria oggi, sarà pertanto multiculturale e abituata a convivere con varie etnie.

In un periodo in cui il mondo sta vivendo un processo di globalizzazione dell’informazione grazie soprattutto all’utilizzo di Internet, i paesi poveri si trovano ancora in uno stato di forte arretramento tecnologico e quindi con l’impossibilità di accedere a questo bagaglio illimitato di informazioni e conoscenze in ogni settore dello scibile umano.

Per aiutare i paesi in via di sviluppo ad accedere alle conoscenze mondiali è indispensabile sviluppare la rete di conoscenze simultanee ora possibile tramite internet.

Le future generazioni, pur rimanendo nella loro postazione locale, potranno comunicare con altri giovani che stanno in luoghi lontanissimi, dall’altra parte del globo, e mettere in comune le conoscenze scientifiche, economiche e sociali indispensabili per uno sviluppo paritario.

Grazie alla tecnologia e ad Internet sarà quindi possibile sviluppare altre forme di collaborazione tra paesi ricchi e paesi poveri attraverso lo sviluppo di attività cooperative.

Scopo quindi della scuola e degli insegnanti è di educare le future generazioni anche all’utilizzo della tecnologia per favorire le attività di comunicazione e cooperazione a distanza tra gli esseri umani.

Da qui l’importanza che la scuola non si fermi al semplice insegnamento dell’aspetto tecnico, anche se una buona padronanza dello strumento è sicuramente importante, ma insegni soprattutto ad utilizzare gli strumenti tecnici per educare alla cooperazione e alla solidarietà umana.

Quasi tutte le scoperte tecnologiche hanno avuto un inizio piuttosto difficile. La cultura del momento non era spesso in grado di prevedere uno sviluppo diverso da quello che appariva più immediato e semplice da realizzare oltre che vicino alla tradizione.

Anche per l’informatica a scuola si sta ripetendo la stessa cosa.

Il computer è uno strumento che viene utilizzato secondo lo schema della lezione tradizionale, senza riflettere sul linguaggio specifico e che cosa questo consenta di fare con il computer. Ecco quindi il proliferare di programmi didattici per l’insegnamento delle operazioni, delle tabelline, ecc. come se il Bambino fosse un contenitore pronto a rispondere in base a quello che si introduce.

In altre parole è la stessa pedagogia di prima dell’avvento di questa tecnologia solamente vestita un po’ a festa.